La bontà del dentista di Lewis

“Che cosa vogliono dire quelli che proclamano: ‘Non ho paura di Dio, perché so che è buono’? Non sono mai stati da un dentista?” [1]

Questa frase, che può sembrare una provocazione o una semplice boutade, in realtà è solo una delle tante acute riflessioni contenute in un libricino, “Diario di un dolore” (1961), scritto da C. S. Lewis (ebbene sì, l’autore di “Le cronache di Narnia”). Un libricino che l’autore compone per rielaborare e descrivere il lutto seguito alla morte della moglie. Anche se non è facile parlare di dolore e tanto meno raccontarlo senza sminuirlo o esorcizzarlo in qualche modo, C.S. Lewis riesce drammaticamente in questo intento. Un’autopsia audace e verace del dolore.

Statuette di “Pain, Grief e Despair” dall’introduzione del film “Antichrist” di Lars Von Trier

Mi ha fatto ripensare a tanti studi, alle tante volte in cui nessuna delle mille risposte incontrate riusciva a mettere a tacere la domanda: “Perché? Perché il dolore?”. Il sunto di queste mille risposte incontrate risiede nel fatto che il dolore, pur inspiegabile, quando arriva può condurre una persona a una “comprensione” più ampia della realtà. Un sunto fin troppo riduttivo. Eppure la sua eco l’ho percepita in uno dei tanti passaggi profondi che caratterizzano questo libricino, così prezioso e di conforto per quanti si ritrovano a fare i conti con un dolore o un momento doloroso grande o piccolo che sia. In questo passaggio Lewis dice che, in un frangente in cui il dolore che lo teneva così tanto legato a sua moglie era diventato meno forte, all’improvviso gli era parso che fosse ancora più vicino a lei rispetto a quando credeva di esserlo maggiormente con il suo dolore. Da una parte sento qualcosa di tragico e allo stesso tempo, però, di estremamente magico: che si possa sentire ancora meglio l’altro quando la gioia o il dolore che ci lega è meno inteso, quando non si chiede (con troppa insistenza) di stare lì con l’altro, quando semplicemente si sta. Viaggiare più veloce della velocità del dolore e della gioia è viaggiare alla velocità delle cose che viviamo.

“E’ impossibile vedere bene quando gli occhi sono offuscati dalle lacrime. E’ impossibile, il più delle volte, ottenere ciò che si vuole se lo si vuole troppo intensamente; o, almeno, è impossibile trarne il meglio. ‘Facciamo una bella chiacchierata’ è una frase che garantisce il silenzio generale. ‘Questa notte devo assolutamente dormire’ è il preludio a ore di veglia. Le bevande più buone sono sprecate quando la sete è furibonda. Che sia quindi l’intensità stessa del rimpianto a far scendere la cortina di ferro, a darci l’impressione di fissare il vuoto quando pensiamo ai nostri morti? Chi chiede (o perlomeno chi chiede con troppa insistenza) non ottiene. Forse se lo preclude”. [2]

[1] C. S. Lewis, “Diario di un dolore”, Adelphi, Milano 1990, p. 52.
[2] Ibid., pp. 53-54.

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