Buon proposito 2021 (o sulla serenità)

Gira un meme sui social che recita qualcosa del genere: “Buon 2021, ma ricordate che l’anno in inglese si legge twenty-twenty WUHAN”. Ripercorrendo il 2020 lo vedo fregiato da un lato dalla paura del virus e dall’altro dal virus della paura.[1] Naturalmente il nuovo giro di boa della Terra attorno al Sole non può “resettare” l’anno passato e soprattutto non può che re-iniziare raccogliendone la pesante eredità. Eppure, per onorare l’anno nuovo facendolo sentire orgoglioso e meritevole del proprio aggettivo, bisognerà pure cominciare a forgiarla questa eredità. Darle per l’appunto una forma nuova. D’altronde all’orizzonte ci sono buone prospettive di speranza. In riferimento al piano vaccini in particolare, ma fosse anche solamente in generale per il brivido che si prova stando sul ciglio della prospettiva del futuro ancora tutto da scrivere.[2]

Da “Matticchiate” di Franco Matticchio per l’inserto domenicale de “Il Sole 24 Ore”

Partiamo allora dalla paura e dalla necessità di forgiarla. Il libro che sto leggendo a cavallo ‘tra il vecchio ed il nuovo’ è uno di quei lavori che già di per sé contengono in ogni riga un valore terapeutico: “Era tutto perfetto” di Gianpietro Ghidini (Mondadori, 2019),[3] un padre (e una madre) che narrano la propria storia relativa alla perdita di un figlio sedicenne, Ema(nuele), scomparso tra le acque di un fiume lombardo dopo una festa tra amici. Scomparso in quel fiume che aveva fatto «da sottofondo» alle vite e alle vicissitudini di quella famiglia; scomparso, racconta Gianpietro, «in quello stesso punto dove quel giorno d’estate di dieci anni fa avevamo provato a salvare il tuo pesciolino rosso, che invece fu divorato da un’anatra bastarda».[4] Ovviamente la paura di cui parla il libro non è la stessa che si prova pensando al virus, ma pur sempre di paura si tratta e si rivelano degne di nota le parole dell’autore su come affrontarla, quelle parole così profondamente e tragicamente radicate nella propria storia di vita.

Ho vissuto per anni con la paura nel cuore di perdere la sicurezza di un tetto sotto cui stare, ma forse non volevo dimostrare agli altri il mio fallimento. Oggi queste paure sono scomparse. Ho capito che a volte è inutile opporre tanta resistenza quando le cose vogliono andare in una direzione diversa. Una delle cose che ho imparato dalla vita è che tutto ciò che accade, bello o brutto che sia, può aiutarci a comprendere il senso profondo del vivere, ma solo se sapremo guardare avanti, anziché piangerci addosso. In ognuno di noi esiste la coscienza, quella più profonda che, con voce saggia, spesso ci rivela gli errori che stiamo commettendo, ma è altrettanto vero che l’ego ci impedisce di ragionare sul “voglio essere sereno” e si concentra invece sul “voglio avere ragione” o sul “devo dimostrare di essere bravo”. Dobbiamo avere la forza di ascoltare sempre la nostra coscienza che ci dirà qual è la verità, riconoscendo così i nostri errori, evitando poi di ripeterli. Le lezioni della vita sono dure, ma l’universo, così compassionevole con noi, ce le ripropone per insegnarcele davvero bene. Ecco perché, a volte, nella vita si ripresentano le stesse situazioni: non abbiamo imparato la lezione e non siamo stati promossi alla classe successiva. Allora, chiedere scusa e perdonarci per i nostri errori diventa necessario e vitale per assumerci la responsabilità e ricominciare.[5]

Le lezioni dure della vita, la sofferenza attraverso cui passare alla classe successiva, la paura legata all’ego, la voce della coscienza ed il buon proposito come radiazione cosmica di fondo oltre all’ego. Quel “voglio essere sereno” dinnanzi al quale non possiamo che chiederci scusa per i feticci dietro ai quali ci perdiamo e ci barrichiamo, pur di evitare responsabilità e possibilità di azioni. Un modo per esercitarsi a camminare lungo la strada del “voglio essere sereno” è quello di soffermarsi su ormai antiche ma intramontabili parole dei maestri del neo-stoicismo, campioni nella ricerca della serenità dell’animo al riparo dalle scosse e dai turbamenti della paura (dal latino pavor, essere percosso, tremare). Rileggiamo qualche riga allora di uno di questi maestri, Epitteto (I-II sec. d.C.).

Delle cose, le une sono in nostro potere, le altre non sono in nostro potere. Sono in nostro potere l’opinione, l’impulso, il desiderio, l’avversione e, un una parola, tutte quelle cose che sono nostre proprie azioni; non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche e, una parola, tutte quelle cose che non sono proprie azioni: le cose in nostro potere sono per natura libere, incoercibili e prive di impedimenti, quelle che non sono in nostro potere sono deboli, schiave, coercibili ed estranee. Ricorda, dunque, che se riterrai libere quelle che sono per natura schiave, e tue proprie quelle estranee, sarai impedito, ti affliggerai, sarai turbato e ti lamenterai degli Dei e degli uomini; mentre, se riterrai tuo proprio solo quello che è tuo, ed estraneo, com’è realmente, quel che è estraneo, nessuno ti costringerà mai, nessuno ti impedirà, non ti lamenterai di nessuno, non accuserai nessuno, non farai niente controvoglia, non avrai alcun nemico, nessuno ti farà danno, e neppure, in effetti, potrai soffrire alcun danno.[6]

Non rimanere schiavo delle preoccupazioni per ciò che non è in nostro potere, discernere ciò che lo è da ciò che non lo è, assumersi la piena responsabilità per ciò che invece è in nostro potere senza farsi atterrire dalle difficoltà e dalle sofferenza che pur ci accompagnano… per farci crescere, per rendere ancora più ricco e forte il grido del buon proposito 2021 e di sempre: “voglio essere sereno”.  


[1] Vedi il post “La paura del virus e il virus della paura

[2] Come insegna Leopardi nel “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere

[3] Il libro nel sito pesciolinorosso.org

[4] G. Ghidini, Era tutto perfetto, Mondadori 2019, p. 124

[5] Ibid., pp. 88-89

[6] G. Reale & D. Antiseri, Storia della filosofia. II. Dal cinismo al neoplatonismo, Bompiani 2008, pp. 344-345

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